Comunque tutto fa riferimento ad una canzone di più di 50 anni fa, canzone di cui vi riporto il refrain:
"Avevamo vent'anni ed oltre il ponte
oltre il ponte che è in mano nemica
vedevam l'altra riva, la vita,
tutto il bene del mondo oltre il ponte...
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore...
a vent'anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l'amore."
Ecco, quando scivo di esperienze lontane nel tempo e ripenso quindi agli anni del liceo e ai miei rapporti di allora e successivi, reali o presunti, con le donne... mi tornano invariabilmente in testa le parole di questa canzone dei Cantacronache. La canzone, in effetti, si riferiva alla guerra partigiana, ma, mutatis mutandis, sembrava scritta per la mia "guerra" con le donne: erano "tutto il bene del mondo", ma stavano "oltre il ponte" che, oltretutto, si trovava nelle loro mani. Mani nemiche perché sconosciute!
Dicono che dopo il '68 uomini e donne si siano "parlati", abbiano instaurato una sorta di coesistenza pacifica... Sarà, ma il '68 è arrivato troppo tardi per me e sto ancora cercando di varcare il ponte sotto il fuoco nemico.
Io credo che una delle componenti fondamentali del mio travestitismo trovi in ciò la sua matrice: non essendo riuscita ad attraversare il ponte, la mia curiosità, lungi dall'estinguersi, si è mantenuta negli anni: cosa c'è oltre il ponte? Com' è la vita promessa e come sono le tenutarie di quella vita? E soprattutto: come posso averne un'idea se non non ho mai avuto la possibilità, né mai l'avrò, di attraversare il ponte? Forse attraversandolo... "in incognito"?
Purtroppo, non sono più così sicura che travestirsi consenta di raggiungere il risultato, di attraversarlo, cioé, come un fantasma che va, non visto, a controllare e ritorna poi per elaborare, in tutta tranquillità, quanto registrato... In origine ragionavo così: i vestiti dipendono dalle necessità, che siano fisiche o fisiologiche, ma la loro foggia dipende direttamente da quello che si è, da quello che si sente e da quello che si desidera essere; quindi, se non posso essere donna, posso almeno percepire cosa le donne sentono e pensano di sé attraverso il loro modo di vestire... Ora, di fronte ai modesti risultati del progetto (e a un post di Cinzia!), ho capito l'errore nel ragionamento: fossi stata un'ottentottA o una mohicanA, avrei potuto, con questo sotterfugio, cercare di capire le donne europee, perché avrei avuto in comune un denominatore: la femminilità... Ma sono solo un uomo.
Ho combattuto duramente per attraversare il ponte e qualche metro l'ho conquistato; ma non credo di avere più il tempo di raggiungerne l'altro capo. E forse neppure più il reale interesse. Ora mi limito a giocare, a divertirmi... Ma, amiche mie, non parlatemi di "femminilità" finché non siete riuscite ad attraversarlo completamente e... di persona!
Baci
Véronique