Sono passati tre giorni dal mio primo viaggio in treno da sola, e di nuovo sono al binario ad aspettare un treno.
E' il pomeriggio di venerdì 27 settembre e il treno che sto aspettando è quello per Milano, dove incontrerò delle amiche del forum dapprima per l'aperitivo, poi per la cena.
E' una bella giornata di sole ed io indosso lo stesso outfit di tre giorni fa, con qualche piccola variazione. Ho parcheggiato la vettura poco lontano dalla stazione ed ho percorso il breve tratto di strada senza provare imbarazzo, né ansia per il viaggio che mi appresto a fare.
La paura e il senso di vergogna che provavo durante le prime uscite di quasi dieci mesi fa hanno lasciato il posto a sensazioni più pacate, a un senso di accettazione per quello che sto facendo che è qualcosa che desideravo fare da una vita, motivo per cui provo soddisfazione, contentezza.
Mi preoccupa tuttavia la prospettiva di un'ora e mezza di viaggio in compagnia di estranei che avranno la possibilità di osservarmi da vicino e magari di sospettare, di capire, addirittura di rivolgermi la parola, di fare domande.
So che mi sto dirigendo verso una città in cui, mi hanno detto, è abbastanza facile incontrare per strada persone come me e nessuno ci fa più caso, ma il viaggio? Come sarà?
La parte peggiore è sicuramente l'attesa, coi pensieri che si affollano in testa e la preoccupazione che cresce, senza che ci sia la possibilità di fare alcunché per stemperare la tensione.
Quando salgo sul treno la mia prima preoccupazione è trovare un gruppo di quattro sedili liberi, ma non ce ne sono e a un certo punto giunta quasi alla fine del vagone mi sedo alla sinistra di un uomo impegnato a guardare il telefono, con la schiena rivolta al senso di marcia. Il sedile di fronte al mio resta vuoto, in quello vicino al finestrino si viene a sedere un ragazzo di colore, e anche lui appena seduto abbassa gli occhi sul telefono.
Il treno parte: nessuno mi guarda se non di sfuggita, nessuno sembra far caso a me se non in modo saltuario, quasi svogliato, come di chi voglia avere un'idea delle persone che lo circondano per poi tornare a pensare ai fatti suoi, lo sguardo altrove.
Estraggo pure io il telefono, scrivo qualcosa sul gruppo whatsapp. Esagero, dico che ho paura, che sono in preda al panico, ma non è vero. Dico che presto mi faranno scendere, e subito dopo mi consegneranno alla folla inferocita che seduta stante lapiderà il travone, e per un attimo penso che esiste almeno un posto al mondo in cui questo potrebbe accadere per davvero, e sono felice di non esser lì.
Rimango seduta con le ginocchia vicine, la schiena diritta, cerco di farmi piccina, di occupare poco spazio quasi servisse a farmi notare meno da quella donna seduta qualche fila avanti il cui sguardo ogni tanto incrocia il mio, senza cambiare espressione.
Dal finestrino la campagna scorre veloce, le fermate si susseguono: Santhià, Vercelli, Novara... Nessuno viene ad occupare il sedile di fronte al mio, prima di salire ho tolto la giacchina, che ora tengo sulle ginocchia assieme alla borsa, indosso una maglietta rossa a manica corta sebbene il rosso non sia il mio colore preferito, fa caldo.
Magenta, Rho, a un certo punto la vista di numerosi altri binari a destra e sinistra del treno mi fa capire che la stazione deve esser vicina, ma il treno rallenta e sembra volerci mettere più tempo a fare quest'ultimo tratto che tutto il viaggio che l'ha preceduto, eppure io mi sento come se fossi già arrivata.
In quel momento realizzo che non solo ho fatto il viaggio, ma che l'averlo fatto mi spalanca davanti un mondo di prospettive nuove, di scenari in cui posso (io, sì! proprio io!) andare dove voglio ma soprattutto come voglio, e il riflesso nel vetro del finestrino di questa donna bionda che indossa una maglietta rossa e un paio di jeans neri, questo riflesso che cerco da una vita e che ora finalmente vedo, mi dice che non è un sogno, ma realtà.
Quando il treno finalmente si ferma, quando le porte si aprono, quando dopo aver aspettato che scendessero quasi tutti anche io mi immetto nella fiumana di gente che si dirige verso il fondo della stazione, mentre cammino tra centinaia di persone che veramente -veramente!- non fanno caso a chi io sia, ecco in quel preciso momento ogni traccia di ansia, ogni preoccupazione, ogni pensiero negativo sparisce ed io divento quel che fin dall'inizio del viaggio sono apparsa.
Una donna bionda con un paio di jeans neri, una maglietta rossa e un'elegante giacchina pied de poule che si perde nella folla che si dirige verso l'uscita della stazione.
Più tardi la stessa donna, incontrate le sue amiche e toltasi la maglietta rossa, si farà un paio di foto in un negozio Sephora di corso Buenos Aires, felice e sorridente.
Eccola.
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"La stupidità degli altri mi affascina, ma preferisco la mia." (E. Flaiano)