Fa freddo stamattina.
Sono le otto e trenta, e il treno è in ritardo di dieci minuti.
Lungo il tragitto dal parcheggio alla stazione pochi passanti, qualcuno che porta a spasso il cane. Nell'atrio risuonano le frasi sconclusionate pronunciate ad alta voce di una donna che forse ha passato la notte lì, si sentono fino al binario due dove seduta su una panca di marmo aspetto da sola. Ne approfitto per scattarmi un paio di selfie, per prendere appunti. Ho al collo il foulard che mi ha regalato Steffi, si abbina bene con il giubbottino bianco e mi ripara dall'aria fredda, pungente.
Ho voluto provare a fare un giro a Torino la mattina, tornando per pranzo. Il treno quando arriva è semideserto, mi metto comoda e mi scatto altre fotografie.
Arrivata a destinazione vado in uno dei bar di Porta Nuova per un caffè, l'unica commessa presente fa aspettare a lungo me e un ragazzo sopraggiunto poco dopo, mentre lei continua ad armeggiare con una mortadella nel tentativo di toglierle la pelle. Quando termina si rivolge prima al ragazzo ma lui, gentile, la corregge: "c'era prima la signora".
Bevuto il caffè mi reco in farmacia per comprare un colluttorio, e di nuovo "abbiamo solo la confezione grande, signora" e questa volta è la commessa a chiamarmi così.
Mi riesce difficile credere che sono davvero io, eppure è successo, succede, sta succedendo: che ci credano o no, che abbiano capito o meno non ha importanza finché mi trattano così, come, appunto, una signora.
Non mi sporgo troppo sul precipizio perché ho ancora paura di cadere, ma sto prendendo coscienza di quelli che Steffi ha sempre chiamato "i miei mezzi". Sento che non cadrò, ma che anzi potrei spiccare il volo.
Di nuovo cammino in mezzo alla folla, stamane più rada, e oggi niente gonna, oggi pantaloni lunghi neri perché così mi andava, e di nuovo scarpe comode perché voglio camminare tanto, voglio portare in giro questa figura femminile che mi descrive così bene, come un vestito che cada a perfezione, senza una piega, un difetto.
Piazza San Carlo, piazza Castello, m'inoltro nei giardini reali, ondeggio tra aiuole e vialetti, siedo brevemente su una panchina, mi godo questa città che un tempo non mi piaceva perché del centro vedevo solo i problemi, il traffico, il parcheggio difficile, mentre oggi non vedo che bei palazzi, il cielo terso e le facciate illuminate dal sole, e nel tornare verso la piazza mi fermo ad ascoltare una donna che ai cancelli del palazzo suona il violino, lascio cadere una moneta nella custodia chinandomi un po' sulle ginocchia, le sorrido, mi sorride, mi commuovo e mi viene da piangere, ma ho gli occhiali scuri e non se ne accorge nessuno.
Mi dirigo verso il santuario della Consolata, lungo il percorso un'anziana mi domanda "scusi signora, per la piazza del municipio?" le spiego la strada, o meglio le indico la direzione perché è un po' lontana, meglio che chieda di nuovo una volta in zona, lei mi guarda, sorride e ringrazia, ed io me ne vado con quel "signora" ancora nelle orecchie, che mi accarezza l'anima facendola schiudere, mentre sorrido felice.
Sulla via del ritorno mi fermo in un bar, acquisto due cornetti alla crema uno per me e uno per mia moglie che mi sta aspettando a casa, di nuovo persone gentili, che mi trattano bene e mi fanno sentire al posto giusto, il mio posto nel mondo.
Oggi è andata così: dall'inizio alla fine serena e rilassata, non più sotto i riflettori e gli sguardi ma libera e confidente nei miei mezzi che, comincio a realizzare, ho sempre avuto ma solo adesso inizio a usare davvero.
Aveva ragione Steffi, forse dovrei dirglielo.
Ma no: non glielo dirò.
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"La stupidità degli altri mi affascina, ma preferisco la mia." (E. Flaiano)